venerdì 28 febbraio 2014

LA VITA 15: CARITA'

VITA DI SAN GIUSEPPE
Libro I - Capitolo XV
S. Giuseppe cresce nell'amore verso Dio e il prossimo


Suo amore per Dio - Il nostro Giuseppe cresceva a meraviglia nell'amore verso il suo Dio, in modo tale che si struggeva tutto al solo nominarlo, e aveva sempre più acceso il desiderio di fare cose grandi per gloria del suo Dio e aspettava con desiderio intenso che arrivasse il tempo nel quale, secondo le promesse fattegli dall'Angelo, egli si sarebbe impiegato tutto per il servizio di Dio, e perciò diceva sovente al suo Dio: «O Dio di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe, o Dio mio, quando arriverà quel tempo felice in cui io starò tutto impiegato per Te? Quando si adempirà la tua promessa? Il mio cuore arde di desiderio di impiegarmi presto tutto per Te. Ascolta le mie suppliche ed esaudisci i miei desideri». Un giorno il Santo stava al Tempio, e supplicava in tal modo il suo Dio, quando udì la voce del suo amato bene che nell'intimo del cuore gli disse: «Giuseppe, mio servo ed amico, sta' di buon animo, perché in breve resterai consolato e resterà adempito il tuo desiderio». Alla dolcezza di queste parole, fu tanto il giubilo che provò il Santo, che ne andò in estasi, dove gli fu rivelato da Dio, come in breve avrebbe anche ottenuto la grazia di avere una compagnia, con la quale egli avrebbe potuto trattare e parlare di Dio e dei misteri divini che a lui erano stati più volte rivelati, secondo la promessa fattagli dall'Angelo nel sonno, che il suo Dio gli avrebbe dato una creatura con la quale egli avrebbe potuto trattare e narrare le meraviglie dell'onnipotenza divina. Nello stesso tempo che Dio gli rivelava questo, gli fece anche intendere le sublimi virtù di quella persona che gli aveva destinato per trattare con sé, ma per allora, non gli fu manifestato altro. Ritornato dall'estasi tutto consolato nell'anima e tutto allegro per il favore avuto, Giuseppe si umiliò davanti il suo Dio, l'adorò e lo ringraziò affettuosamente, e, riconoscendo il suo nulla, diceva al suo Dio: «O Dio mio, immenso, incomprensibile, e chi sono io che tanto mi favorisci? E come la tua immensa grandezza si degna trattare con me, verme vilissimo, e fare a me grazie così grandi? Che Tu ti sia inchinato a trattare con i Profeti, con i Patriarchi, è cosa ben grande, ma con me poi, vilissimo schiavo tuo, è una cosa da restare estatico per la meraviglia. Oh! Dio mio, come corrisponderò a tanta tua bontà, a tanta degnazione, a tanto amore? Mio Dio, eccomi tutto tuo, fa' di me quello che a Te più piace. Io non ho altro da donarti che tutto me stesso ed ogni momento della mia vita; io intendo donarmi di nuova a Te, e se potessi avere in mia libertà i cuori di tutte le creature, li donerei tutti a Te, e li sacrificherei tutti al tuo amore. Mio Dio immenso, infinito, ineffabile, incomprensibile, ricevi la piccola offerta del tuo vile servo e schiavo, Giuseppe, che di cuore tutto si dona a Te». Così il nostro Giuseppe si umiliava nei favori che riceveva, e si mostrava grato al suo Dio dei benefici, riconoscendo il tutto dalla divina bontà e generosità, e niente per suo merito, che si chiamava creatura vilissima e indegna. Uscito dal Tempio dopo aver ricevuto un così grande favore dal suo Dio, se ne andò alla sua bottega e qui di nuovo rese grazie a Dio; si mise a lavorare tutto assorto, e per quel giorno non fu capace di prendere cibo. La notte seguente poi, l'Angelo gli parlò nel sonno e si congratulò con lui del favore ricevuto, assicurandolo anche che in breve avrebbe avuto quel tanto che lui molti anni prima, gli aveva promesso da parte di Dio. L'esortò a continuare a rendere grazie a Dio del grande beneficio che gli avrebbe fatto. Svegliatosi, il santo Giovane rese nuovamente grazie a Dio, invitando tutte le creature a lodare il suo Dio col Santo Davide, e a benedirlo con i tre fanciulli Babilonesi; e faceva questo, non solo quando riceveva qualche favore particolare, ma quotidianamente, mentre il suo spirito godeva molto nel recitarle, e poi ringraziava il suo Dio che avesse dato alle sue creature il modo di benedirlo e lodarlo così bene. li Santo Giovane stava poi aspettando le grazie promesse con tutta quiete, e tutto rimesso alla divina disposizione, le bramava, ma la sua brama non era impaziente, né mai andò investigando cosa alcuna, né si poneva mai a pensare quale cosa sarebbe stata, quella che da Dio gli sarebbe stata data quale compagnia e in che cosa si sarebbe dovuto applicare per servizio del suo Dio. Il nostro Giuseppe non ricercò mai niente di tutto questo, ma tutto quieto e tranquillo aspettava le promesse divine, sicurissimo che il suo Dio avrebbe fatto tutto con somma provvidenza e con infinito amore. Questo sì che andava spesso replicando: «Oh! Che bella sorte sarà la mia, di trattare con una creatura che mi sarà data da Dio per discorrere delle sue grandezze, della sua bontà, del suo infinito amore, delle sue divine perfezioni; e questa creatura si degnerà di trattare con me, non sdegnerà la mia viltà, la mia povertà, la mia bassezza, la mia indegnità! Quanto sei buono, mio Dio! Quanto bene assecondi i desideri di chi si fida di Te, e tutto in te si confida!». Il Santo diceva questo lodando e ringraziando sempre il suo Dio, e ricevendo tutto il bene dalle sue divine mani e riconoscendo il tutto da Dio.

Suo amore per il prossimo - A misura che in San Giuseppe cresceva l'amore verso il suo Dio, andava anche crescendo l'amore verso il suo prossimo; e si struggeva tutto quando sapeva che c'era qualche povero bisognoso e non lo poteva soccorrere, perciò lo raccomandava caldamente a Dio perché l'avesse provveduto. Molte volte si privava anche del necessario, per sovvenire i poveri; e quando gli veniva dato il denaro del lavoro che aveva fatto, subito ne dava la maggior parte ai poveri bisognosi. Le persone afflitte poi, le compativa tanto, che supplicava Dio per loro con tanta premura affinché le consolasse, e perseverava nella preghiera fin tanto che sapeva che Dio le aveva esaudite. Avrebbe voluto provvedere ai bisogni di tutti, tanto spirituali quanto temporali, e diceva al suo Dio: «Dio mio, Tu già vedi la mia povertà e la mia insufficienza, e che non posso fare al mio prossimo quel bene che vorrei; perciò Tu che sei ricco di misericordia e sei tutta carità e tutto amore, soccorri ai bisogni di tutti, consola gli afflitti, sovvieni i bisognosi perché tu puoi tutto. Godo, mio Dio, di essere io povero e insufficiente, perché tu sei sommamente ricco e puoi tutto; per cui io ti domando ciò che io non so né posso fare». Dio godeva molto di queste espressioni del suo servo fedele e non lasciava di esaudirlo nelle sue premurose domande; e Giuseppe gli si mostrava grato nel ringraziarlo continuamente anche da parte di quelli che ricevevano il beneficio. Lo stesso faceva verso gli infermi, supplicando continuamente per la loro salute corporale e molto più per la salute spirituale. Li visitava, li consolava, li animava a soffrire con pazienza l'infermità che Dio inviava loro, e questo ufficio lo faceva con i poveri; ma con quelli di qualche riguardo e che possedevano ricchezze, non si accostava, perché diceva che lui era povero e non si arrischiava trattare altro che con i poveri suoi pari; e per quelli pregava e caldamente li raccomandava, cosicché non lasciava di beneficarli, benché non ci trattasse, usando con tutti la sua perfettissima carità.

Sua santa vita - Il nostro Giuseppe continuò in questo tenore di vita per più anni, crescendo a meraviglia nell'amore verso il suo Dio e il prossimo, e nella pratica di tutte le virtù, in modo tale che si rendeva mirabile, non solo agli occhi degli uomini, ma degli Angeli stessi. Tanta era la sua purezza ed innocenza, la sua umiltà, la carità, il disprezzo di tutte le cose caduche e terrene, e il disprezzo e il basso sentimento che aveva di se stesso, umiliandosi non solo al cospetto del suo Dio, ma anche al cospetto di tutte le creature, le quali per vili e abiette che fossero, considerava tutte maggiori di sé e guardava tutte con grande carità ed amore. Compativa tutti e pregava per tutti, desiderando per tutti ogni vero bene e lo domandava di cuore al suo Dio con grande insistenza. Per le solennità poi che si celebravano nel Tempio, il nostro Giuseppe, si vedeva assistere a tutte le funzioni tutto giulivo, e con tanta devozione; non si tratteneva già a rimirare cose curiose come facevano tutti gli altri, ma con gli occhi fissi a terra ed il cuore a Dio, stava tutto assorto; e in questo tempo Dio si degnava di illuminare la sua mente, facendogli capire misteri altissimi, deliziandosi l'anima sua nel suo Dio e godendo dei divini favori perché Dio con larga mano ricompensava il suo servo fedele che per amore suo si privava di tutte le soddisfazioni che in tal congiuntura gli altri si solevano prendere, e così si andava rendendo sempre più gradito al suo Dio, e capace dei divini favori.




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