giovedì 27 febbraio 2014

LA VITA 5: L'INFANZIA

VITA DI SAN GIUSEPPE
LIBRO I CAP.V

L'infanzia di S. Giuseppe
I primi passi - Il nostro Giuseppe, crescendo ogni giorno di più nell'amore verso il suo Dio e nella cognizione delle divine perfezioni, bramava di arrivare ad essere perfetto e santo per potere in qualche modo assomigliare al suo Dio nella santità e corrispondere al suo infinito amore. Perciò desiderava di arrivare presto a camminare per poter impiegare anche il suo corpo in ossequio al suo Dio e fargli, anche esternamente, quelle dimostrazioni d'amore e di sottomissione. Dio gradiva molto i desideri del nostro Giuseppe e li esaudiva, e così arrivò in breve a camminare.

Le prime parole - Il nostro Giuseppe incominciò molto presto a parlare e a camminare e le prime parole che proferì furono il nominare il suo Dio, ammonito così dall'Angelo nel sonno. La mattina che parlò, appena svegliato, disse: «Dio mio!». Fu inteso dai suoi genitori che, stupiti ed attoniti, si riempirono di giubilo, godendo che il loro figliolo incominciasse a parlare e godendo molto di più che le sue prime parole fossero dirette a Dio, come invocandolo in suo aiuto e chiamandolo "suo". Il nostro Giuseppe proferiva spesso questa parola e con ragione, perché essendosi egli donato tutto a Dio, Dio era tutto suo; e quando sentiva dire dai suoi genitori, che Dio si era chiamato il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, egli soggiungeva: «E di Giuseppe» - e lo diceva con tanta grazia, in quella così tenera età, che i suoi genitori ne godevano molto, e per ascoltarlo, gli dicevano spesso queste parole; ed era tanto il sentimento con cui il fanciullo le diceva, che sembrava, come infatti era, che Dio fosse tutto il suo bene e lo scopo di tutti i suoi affetti e desideri, e che non avesse altro pensiero ed amore che per il suo Dio. Perciò si vedeva esultare e giubilare quando lo sentiva nominare, e i suoi genitori spesso glielo nominavano con grande affetto e riverenza, per apportare al loro figliolo questa consolazione.

Offerte e suppliche - I primi passi che il nostro Giuseppe formò furono da lui stesso offerti a Dio, supplicandolo della grazia che in tutti i suoi passi Egli rimanesse glorificato e mai offeso, come fece anche delle sue parole, ammaestrato così dall'Angelo. Dio ascoltò le sue suppliche e le esaudì perché, tanto nelle parole come nei passi e in tutte le sue opere, restò sempre glorificato e mai offeso o disgustato. In tutte le sue azioni ebbe poi il nobile esercizio di guardare sempre il cielo ed invocare il suo Dio, supplicandolo del suo aiuto e della sua santa grazia nell'azione che faceva, affinché fosse secondo il suo divino beneplacito; e questo era nel cibarsi, nell'andare a riposare, nel parlare e nel camminare. E poiché in quella tenera età non gli era permesso di fare quelle azioni virtuose che lui bramava, gli offriva il suo desiderio e quelle azioni indifferenti che sono comuni a tutti per conservare la vita, come il mangiare, il bere, il dormire, il ricrearsi. Il nostro Giuseppe impreziosiva tutte queste azioni con la retta intenzione, facendo tutto per amore del suo Dio, e per amore dello stesso, si privava spesso di quello che più gli piaceva, ammaestrato così dal suo angelo in quella tenera età, perché altro non poteva fare per il suo Dio, che tanto amava; e spesso gli si offriva tutto in dono, rinnovando quegli atti che già fece quando fu presentato al Tempio. Sua madre, poi, vedendo come il figlio avesse molte capacità, lo andava istruendo insegnandogli vari atti di affetto verso Dio, come praticavano gli Ebrei, ed il nostro Giuseppe mostrava molto gusto nell'ascoltarli e li praticava mirabilmente con ammirazione della madre e di chi lo udiva.

Spirito dì preghiera - Quando poi camminava speditamente, spesso si nascondeva a pregare con le mani sollevate al cielo, facendo atti di ringraziamento a Dio, perché tanto lo beneficava, e stava ore intere inginocchiato a terra. Era meraviglioso vedere quel piccolo fanciullo in tale posizione, ma faceva più meraviglia vedere come il suo spirito si deliziasse nella contemplazione delle perfezioni divine e ben si notava anche esternamente mentre il suo volto appariva tutto rubicondo e gli occhi sfavillanti, dimostrando con questo che si deliziava con il suo Creatore, e che gli influssi della grazia ricolmavano la sua anima. La madre, che con destrezza si metteva in un luogo dove il figlio non la potesse vedere, lo sentiva spesso esclamare: «O Dio di bontà infinita, quanto mi hai beneficato e perciò quanto ti devo!». E diceva tutto questo balbettando, ma con il cuore infiammato d'amore verso il suo Dio. La madre che lo udiva, accompagnava il figlio con atti d'amore e di ringraziamento, e si scioglieva in lacrime di tenerezza per vedere il suo figliolo tanto favorito da Dio e arricchito di tanti doni.

Sospira il Messia - Gli fu poi manifestato dai suoi genitori come Dio aveva promesso di mandare al mondo il Messia, che si aspettava con desiderio, e che gli antichi Patriarchi bramavano tanto; questo gli fu anche insinuato dall'Angelo nel sonno, così il nostro Giuseppe si accese di un vivo e ardente desiderio di questa venuta e ne porgeva calde suppliche a Dio, perché si fosse degnato di accelerarne i tempi. Da questo momento tutte le sue preghiere tendevano a questo fine e Dio udiva con gusto le suppliche dell'innocente Giuseppe compiacendosene molto, e di questo gliene dava una chiara testimonianza perché, quando egli gli porgeva queste suppliche, Dio gli riempiva il cuore di giubilo e di consolazione, per cui il nostro Giuseppe si animava ancora di più nel fare la richiesta, e così avanzava nell'amore verso il suo Dio e nelle suppliche premurose.

Pena per le offese a Dio - Quando in casa accadeva qualche cosa per la quale Dio potesse restare disgustato - e questo capitava fra le persone di servizio per la loro fragilità - allora sì che il nostro Giuseppe si faceva vedere tutto afflitto e mesto, e piangeva amaramente; e poiché a quella tenera età non poteva riprenderli, dimostrava però con il pianto quanto fosse grande il suo dolore. La madre, che si accorgeva di questo, gli domandò un giorno perché piangesse tanto e si affliggesse, ed egli rispose con gran sentimento: «Tu mi hai più volte insegnato quello che devo fare per piacere a Dio e quello che si deve fuggire per non disgustarlo. Ora vedendo che nella nostra casa si disgusta, non vuoi che io mi affligga e pianga?». Questo disse alla madre, perché da lei era già stato più volte istruito a fuggire le offese divine, ed anche perché lei non arrivasse a comprendere i doni che Dio gli aveva partecipato, come l'uso della ragione e la chiara cognizione delle divine offese per le quali egli molto si affliggeva, mentre capiva come Dio meritava di essere amato, onorato e non offeso, e che le colpe disgustavano molto il suo Dio, che egli tanto amava. Inteso questo, la madre procurava di stare molto vigilante, affinché Dio non fosse offeso da nessuno della sua casa e riprendeva aspramente i trasgressori, tanto che il nostro Giuseppe, con il suo comportamento, fu occasione perché la casa dei suoi genitori si potesse chiamare piuttosto "scuola di virtù", vivendo tutti con un'esatta osservanza della legge divina.

Prudenza della madre - La madre, poi, era molto accorta, e prudente nel tenere nascosto quanto il figlio le diceva, e quanto in lui scorgeva di doni e di grazie soprannaturali; né si dimenticò mai di quanto le disse l'Angelo del Signore in sogno, e cioè che suo figlio avrebbe visto il Messia e avrebbe conversato con lui; perciò non si faceva grande meraviglia nel vederlo tanto favorito da Dio, e si impiegava tutta nel lodare e ringraziare la generosità di Dio, tanto grande verso il suo Giuseppe. A volte lo guardava con grande tenerezza di affetto, lacrimando per la consolazione che sentiva nel pensare che suo figlio avrebbe avuto la bella sorte, che non avevano potuto avere tanti Patriarchi e Profeti, di vedere venuto al mondo il Messia promesso; e spesso diceva al figlio: «Figlio mio, beato te!», - invidiando santamente la sua felice sorte. Il nostro Giuseppe le domandò una volta perché gli dicesse questo. La saggia madre gli rispose: «Ti dico questo, perché so che il nostro Dio ti ama molto», - celandogli il mistero. Giuseppe nel sentire queste parole, alzava le mani al cielo, esclamando: «Oh, sì, sì, che mi ama il mio Dio!». E qui si infiammava tutto nel volto, esultando per la gioia e lacrimando per la dolcezza. Poi aggiungeva: «Ed io lo amo? Poco lo amo! Ma lo voglio amare molto più di quello che lo amo; e nel crescere che farò negli anni e nelle forze, crescerò anche nell'amore del mio Dio». E fu così perché, a misura che andava crescendo nell'età, cresceva anche nell'amore.

Istruzione patema - I suoi genitori, vedendo poi che il figliolo era tanto capace, incominciarono ad istruirlo nelle lettere, e questo lo fece il proprio padre perché egli era molto dotto nella Legge, e non volle consegnare ad altri il figlio perché fosse istruito, perché frequentando gli altri non venisse a perdere quello spirito che Dio gli aveva comunicato. Così il nostro Giuseppe incominciò ad imparare a leggere e gli riusciva mirabilmente, in modo che suo padre non ebbe mai occasione di riprenderlo.
Aveva appena tre anni che già incominciava a leggere con molta consolazione dei suoi genitori e a suo profitto. Si esercitava nella lettura della Sacra Scrittura e nei Salmi di Davide, che il Padre poi gli spiegava. Era molta la consolazione che il nostro Giuseppe sperimentava nel leggere e nel sentirsi spiegare dal padre quel tanto che leggeva, ed in questo esercizio ci mise tutto il suo studio, non tralasciando però mai i soliti esercizi di orazione e preghiere a Dio, e spendeva tutto il suo tempo in questo esercizio, cioè nel pregare, studiare e leggere, avendo per ogni cosa il suo tempo assegnato.

Sua ammirabile pazienza - Non fu mai visto, benché fanciullo, né adirato, né impaziente, ma conservava sempre una serenità di volto ed una somma quiete, nonostante molte volte Dio permettesse che gliene capitasse l'occasione, essendo maltrattato dalle persone di casa in assenza dei suoi genitori; e il nostro Giuseppe soffriva tutto con pazienza ed allegrezza. Il demonio spesso si ingegnava ad istigare le persone di servizio in casa, perché lo maltrattassero per vederlo perdere la bella virtù della sofferenza; ma questo non gli riuscì mai, perché il nostro Giuseppe era tanto immerso con il pensiero nell'amore del suo Dio e tanto godeva della sua presenza nella sua anima, che non c'era cosa, per grande che fosse, che turbasse la pace del suo cuore e la serenità del suo spirito. Il demonio fremeva molto nel vedere tanta virtù in Giuseppe, e fremeva molto di più perché non si poteva accostare a lui con le tentazioni, tenendolo Dio lontano; ma tanto fece che un giorno lo precipitò per una scala della casa, permettendolo Dio per esercizio di virtù al nostro Giuseppe e per maggior confusione del nemico infernale. Vedendosi il fanciullo così precipitato, chiamò Dio in suo aiuto, e Dio non tardò a soccorrerlo liberandolo da ogni male. Da questo Giuseppe ebbe occasione di riconoscere la grazia del suo Dio e ringraziarlo, e il demonio partì confuso.

Sua vita raccolta - Non fu poi mai visto, nonostante quella tenera età, fare cose fanciullesche, né mai si curò di trattare con altri fanciulli suoi pari, stando sempre ritirato in casa, applicato allo studio e all'orazione, non perdendo mai tempo. Prestava poi un'esatta obbedienza ai suoi genitori, non tralasciando mai di fare quel tanto che da loro gli era ordinato. Tutto il suo divertimento stava nel trattenersi spesso a guardare il cielo, perché sapeva che lì abitava il suo Dio; e gli inviava caldi sospiri supplicandolo di mandare presto nel mondo il Messia promesso.

Imitazione dei Patriarchi - Portava poi un grande affetto al Patriarca Abramo, Isacco e Giacobbe e al Profeta Davide, e spesso supplicava suo padre di narrargli la vita che essi avevano condotto, con il desiderio di imitarli; poiché sapeva che erano stati tanto amati e favoriti dal suo Dio e il padre lo compiaceva e gli narrava la vita, ora di uno, ora dell'altro. Il nostro Giuseppe lo stava ad ascoltare con molta attenzione e poi diceva: «Questi sono stati amici e favoriti del nostro Dio e questi dobbiamo imitare nelle loro virtù». E sentendo come il Padre Abramo camminava sempre alla presenza di Dio, come lo stesso gli aveva ordinato se voleva essere perfetto, procurò di imitarlo perfettamente. Il nostro Giuseppe era appena giunto all'età di sette anni, che era già capace di tutte le virtù che questi Patriarchi avevano esercitato, e per quanto si estendevano le sue forze, si applicava ad imitarli nella fede e nella confidenza ed amore verso il suo Dio; così il nostro Giuseppe cresceva nelle virtù e si rendeva sempre più gradito a Dio.

Lode a Dio - Sentendo poi come il santo Davide lodava il suo Dio sette volte al giorno in modo speciale, anch'egli lo volle praticare, e supplicò il suo angelo perché lo avesse svegliato per tempo, per potere lodare il suo Creatore anche nelle ore notturne. Sapeva già varie cose a mente, a lode del suo Dio, e le ripeteva spesso, sia di giorno che di notte con molto gusto del suo spirito e Dio non mancava di illuminarlo sempre di più ed accrescere in lui i suoi doni. Nel tempo stesso che lo stava lodando, era così acceso d'amore verso il suo Dio che, molte volte, nonostante fosse notte, apriva la finestra della sua stanza e si metteva a guardare il cielo, e qui dava adito al suo cuore perché divampasse le fiamme verso la sua sfera e diceva: «Beato colui che avrà la sorte di vedere con i propri occhi il Messia promesso! Beato chi avrà la fortuna di servirlo e di trattare con lui! Che sorte sarà la sua!». E diceva questo con tanto ardore che restava estatico per molto tempo, acceso da un vivo desiderio di poterlo servire e prestargli tutto l'onore e il servizio.

Amore per i poveri - Nel petto di Giuseppe ardeva poi un grande amore verso il prossimo e bramava di giovare a tutti, perciò diceva spesso ai suoi genitori che distribuissero delle elemosine ai poveri bisognosi e che non avessero riguardo di conservarle per lui, perché si accontentava di essere povero, purché gli altri non avessero patito; e i suoi genitori non mancavano di assecondare il suo desiderio, facendo larghe elemosine ai poveri, essendo già anche loro inclini nell'usare grande carità verso i bisognosi.

Sua purezza verginale - Il nostro Giuseppe era già arrivato all'età di sette anni con questo tenore di vita che abbiamo detto, avendo conservato sempre un illibato candore ed innocenza in modo tale che, non solo non diede mai un minimo disgusto ai suoi genitori, ma nemmeno fece mai alcuna azione che non fosse stata di sommo gusto e compiacimento del suo Dio; anzi, quanto più cresceva negli anni, tanto più gli si rendeva gradito operando sempre con maggiore perfezione. Oltre all'amore che aveva per la purezza, che Dio gli aveva infuso in modo mirabile, questa virtù gli fu anche molto raccomandata dal suo angelo, quando una volta nel sonno gli fece un grande elogio, soggiungendogli che questa virtù era molto cara al suo Dio ed il nostro Giuseppe se ne invaghì molto di più e propose di conservarla per tutto il tempo della sua vita; e perché potesse eseguire questo, supplicava il suo Dio perché gli avesse dato la grazia di poterlo fare. Propose anche di fuggire tutte le occasioni pericolose, perché il suo ammirabile candore non avesse mai patito alcun danno e infatti l'eseguì con tutto lo studio immaginabile, custodendo tutti i suoi sentimenti con grande rigore e specialmente gli occhi che teneva per lo più fissi a terra o rivolti al cielo. Dal suo aspetto si conosceva bene quanto fosse grande la purezza della sua anima e anche del suo corpo, tanto che pareva un angelo vestito di carne mortale. La madre più volte osservò lo splendore nel suo volto, ed anche suo padre; da questo conoscevano bene quanto grande fosse la purezza e l'innocenza del loro figliolo e come Dio si compiaceva di abitare nella sua purissima anima per mezzo della sua grazia; questo si notava quando il nostro Giuseppe terminava la preghiera, e che da solo a solo aveva trattato con il suo Dio.

Cura dei suoi genitori - In queste occasioni i suoi genitori si sentivano riempire l'anima di un'insolita consolazione e di un amore riverenziale verso il loro figlio, guardandolo sempre più come un tesoro e un dono del Cielo. Non tralasciavano però di esercitare su di lui quell'autorità propria dei genitori verso i loro figli, e spesso provavano come fosse obbediente ai loro cenni, ed egli si mostrava obbedientissimo in tutto.

Sua mortificazione - Il nostro Giuseppe era molto incline al digiuno e alle asprezze, ma quando i suoi genitori glielo proibivano, egli si sottometteva alla loro volontà con tutta la rassegnazione, e non replicava mai in alcuna cosa. Quando desiderava fare digiuni e veglie domandava a loro il permesso con tanta sottomissione, che sembrava non glielo sapessero negare, tanto era il modo che aveva per accattivarseli; e quando gli negavano il permesso, lo facevano con pena, perché non potevano contraddirlo.

Carità ai poveri - Molte volte ancora, il padre gli dava dei soldi perché desse l'elemosina ai poveri che gliela domandavano; ed allora la prendeva con tanta sottomissione ed umiltà, come se quella elemosina l'avessero fatta a lui stesso, e ben presto la dispensava ai poveri non trattenendo mai presso di sé alcuna cosa. Quando vedeva qualche povero venire a casa sua a domandare la carità, egli andava dalla madre e gliela domandava come per sé, con tanta sottomissione; la madre si meravigliava della virtù di suo figlio e gliela faceva largamente. Era poi tanto grande il gusto che il nostro Giuseppe aveva nel dare l'elemosina ai poveri, che si capiva bene nel suo volto, poiché se vedeva un povero si affliggeva tutto e subito si rallegrava quando gli dava l'elemosina.

Invaghito delle virtù - Era già molto incline alla pratica di tutte le virtù, ma se ne era molto più invaghito perché l'Angelo gli parlava nel sonno e gli manifestava il pregio e valore delle virtù, e come queste fossero molto care e di gusto al suo Dio. Non ci voleva altro perché il nostro Giuseppe si innamorasse della virtù. Il solo sentire che erano gradite al suo Dio, era sufficiente perché egli si mettesse a praticarle con tutto l'impegno.

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